I nuovi media e la formazione del consenso

Trattare il tema della formazione del consenso ai tempi del web equivale a porre la questione del controllo ideologico e di come e attraverso quali strumenti e quali dinamiche oggi le classi dominanti esercitano il controllo ideologico sull’intera società, comprese le classi subalterne, ai fini della formazione di un consenso, più o meno attivo, più o meno consapevole, ma tale da poter agire indisturbate e continuare a compiere il sacco neoliberista e imperialista: dunque attraverso quali meccanismi si esercita oggi il controllo ideologico.

Esercitiamoci, per cominciare, dalla definizione marxiana di ideologia: lo strumento, o l’insieme degli strumenti sovrastrutturali – detta molto schematicamente – con i quali le classi dominanti impongono la propria visione del mondo e la impongono legittimandola universalmente.

La questione del controllo ideologico ruota dunque sul piano storico concettuale e di analisi attorno all’asse storicamente variabile dei rapporti fra struttura e sovrastruttura. Se la struttura determina i rapporti di produzione, la sovrastruttura rappresenta il frutto a livello politico e sociale dei rapporti di produzione, ovvero la cultura, lo Stato, la religione, l’arte e tutti gli altri aspetti non economici della vita dell’uomo.

Il potere così scaturito (le classi dominanti capitalistiche) legittima la propria visione del mondo (ne fa anzi strumento di dominio nel binomio variabile repressione/controllo ideologico) così il vettore dell’ideologia (la comunicazione) ha un ruolo fondamentale nell’affermazione egemonica di essa.

Marx chiama, com’è noto, l’ideologia “falsa coscienza” perché serve a celare l’origine delle disuguaglianze nella società, a nascondere i veri rapporti tra gli uomini, determinati dai rapporti di produzione: l’asservimento, lo sfruttamento, l’assoggettamento, l’alienazione.

Ovviamente Marx si riferisce all’ideologia come falsa coscienza nella critica all’ideologia tedesca, cioè all’ideologia delle classi dominanti come Weltanschauung cioè visione del mondo, alla quale noi, siccome non siamo né anti-ideologici né post-ideologici, vogliamo sostituire la nostra.

A queste considerazioni va aggiunto un ulteriore riferimento a categorie marxiste se si vuole introdurre il tema dei nuovi media e formazione del consenso in termini scientifici, senza avere certamente la pretesa di essere esaustiva ma solo di fornire un contributo di analisi: un riferimento al concetto di classe in sé e classe per sé, la questione della coscienza di classe, insomma.

Se noi affrontiamo questa questione da un punto di vista storico per cogliere i nessi tra questi due concetti e comprenderli nel loro evolversi, ci accorgiamo che fasi in cui la classe è per sé, cioè ha coscienza di sé, del suo ruolo all’interno dei rapporti di produzione e lotta in maniera cosciente per cambiarli, sono fasi circoscritte, mentre in altre fasi di riflusso la classe “regredisce” a classe in sé, assumendo anche valori borghesi e piccolo-borghesi.

In questi contesti di profonda controrivoluzione e riflusso, negli stati a capitalismo avanzato, la stragrande massa delle classi subalterne stenta ad essere classe per sé, anche in senso tradunionistico, oltre che in termini di coscienza politica dei propri compiti storici. Una condizione di passività non è quindi una novità e certo ha partorito nella forma e nella sostanza modi diversi di arretratezza di coscienza di classe, classe che si è estremamente legata, ideologicamente e politicamente, alle classi dominanti.

Ora siamo in una di queste fasi dunque.

Una fase di regressione/inversione dei rapporti di forza (per es. tra il 1975 e il 2006 in Italia la quota dei redditi da lavoro è passata dal 69,7% al 53,3% del PIL mentre tra il 1993 e il 2005 la quota andata ai profitti è passata dal 23,1 al 31,3% del PIL), accompagnata da una disarticolazione della classe sul piano sovrastrutturale con la drammatica assunzione di comportamenti, atteggiamenti piccolo borghesi duri a morire anche in una situazione come quella odierna di crisi economica strutturale.

La nostra azione collettiva ha dunque la necessità di acquisire la piena consapevolezza del livello di sedimentazione ideologica che l’egemonia capitalistica ha depositato sulla sconfitta del movimento operaio. Tale sedimentazione è rappresentata dalla coltre di fumo che ha mutato, a partire dalla disarticolazione del mondo del lavoro e dalla sconfitta del movimento operaio internazionale, il contesto ideologico-culturale in cui ci troviamo ad agire.

Si tratta di una vera e propria palude che ha nascosto la stessa divisione in classi (oltreché la divisione internazionale del lavoro), generando anche una degenerazione etica e morale della società. Un contesto funzionale, ripeto, al capitale perché muta al fondo la percezione della divisione in classi della società, consentendo ad esso di portare avanti la propria lotta egemonica contro i lavoratori che si trovano immersi in una melma interclassista.

I nuovi media, per il loro carattere estremamente pervasivo, contribuiscono e potenziano, nella fase odierna, la costruzione della falsa coscienza di massa. C’è anche chi parla di “tecnologie del dominio” e loro effetti sociali, come il gruppo Ippolita, che oltre ad avere un proprio sito web, ha pubblicato una serie di saggi come “Nell’acquario di Facebook”, “La rete è libera e democratica: falso”, “Luci e ombre di Google”.

Tutto il contrario di quanto affermato, talvolta anche a sinistra, sulla rete vista entusiasticamente come grande opportunità di democrazia, libertà e mobilitazione.

Per nuovi media intendiamo il cosiddetto Web 2.0, cioè l’insieme di applicazioni che permettono un elevato livello di interazione tra il sito web e l’utente, da Youtube ai motori di ricerca (Google appunto), passando per i social network (Facebook), le chat, i blog, estendendo però il concetto di nuovi media anche al complesso di tecnologie hardware, cioè all’insieme degli strumenti quali computers, iPod, smartphone, tutto il flusso delle informazioni in rete in grado di orientare atteggiamenti e comportamenti sociali, politici, economici.

Tuttavia il discorso posto solo così sarebbe insufficiente ai nostri fini, quelli cioè di indagare le forme del controllo ideologico oggi, che avviene attraverso dinamiche nuove, certamente proprie dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, ma che coinvolgono anche i mezzi tradizionali, giornali e Tv: quindi nuovi media e nuove dinamiche per la formazione del consenso. Cioè a dire tutto il mondo dell’informazione che contribuisce alla formazione dell’identità anche della nostra classe di riferimento e del suo immaginario collettivo.

La questione è dunque quella della manipolazione della coscienza collettiva nel XXI secolo.

Per approfondire il tema della manipolazione mediatica è opportuno riferirsi ad una fertile intuizione che Domenico Losurdo introduce nel saggio “La sinistra assente: crisi, società dello spettacolo, guerra” quando afferma che oggi siamo in una fase più difficile che ai tempi di Marx perché le classi dominanti detengono non solo il monopolio della produzione materiale e intellettuale ma anche il monopolio della produzione e diffusione delle emozioni ed è grazie a quest’ultimo che si genera il consenso alle guerre e colpi di stato dell’imperialismo.

Cito testualmente: “Mi pare esemplare proprio il caso del ricorso a quello che definisco il terrorismo dell’indignazione, ossia il fatto di suscitare scientemente una vera e propria ondata di indignazione in grado di giustificare la guerra: ciò denota anche una mancanza di giustificazioni razionali da parte delle classi dominanti. Questa particolare forma di terrorismo ha avuto una funzione decisiva nello scatenamento delle ultime guerre”.

Quindi attraverso il monopolio delle idee e soprattutto delle emozioni le classi dominanti hanno eseguito un salto di qualità nell’ambito del controllo ideologico.

Ad integrare questo quadro può essere utile fare un’ulteriore distinzione tra infowar e infotainment.

L’infowar, o propaganda di guerra, si rivolge a suscitare adesione alle strategie neo-coloniali sui settori semi-colti dell’opinione pubblica; l’infotainment, commistione di informazione e intrattenimento, è invece funzionale alla creazione di una adesione più di massa.

Sull’infowar: basti pensare come i media hanno gestito i vari fronti di guerra degli ultimi 25 anni, dalla prima guerra del golfo alle cosiddette rivoluzioni colorate per arrivare all’oggi con i fronti aperti dall’imperialismo in Siria e Ucraina, passando per la Libia.

Sull’infotainment: cioé tutti quei programmi (dai talk show ai reality show, format che vengono trasmessi in tutto l’occidente, e non solo) i cui contenuti non sono propriamente di natura politica, ma veicolano stereotipi comportamentali in realtà a sfondo ultrapoliticizzato, tesi alla alienazione dei propri fruitori dal proprio contesto e ruolo reale attraverso una sorta di continua ginnastica emotiva che traccia un solco emozionale reattivo funzionale alla cancellazione di qualsivoglia capacità di autonomia critica sull’esistente.

Ora passiamo al web. Non senza prima ricordare però che i grandi network sono conglomerati mediatici intimamente connessi ad interessi economici i più diversi. Negli Stati Uniti, per esempio, operano cinque grandi gruppi dell’informazione che determinano e orientano massicciamente l’opinione pubblica. E non sono solo gruppi editoriali ma si articolano in varie attività economiche legate all’industria (chimica, farmaceutica, petrolifera, agro-alimentare), oltreché connessi agli apparati politici e dello Stato. Di conseguenza l’infowar (ma anche l’infotainment) sarà necessariamente indirizzata al sostegno di queste operazioni di grandissima portata economica.

D’altro canto, per quanto riguarda il succitato web 2.0 la situazione non è diversa: il NASDAQ è essenzialmente l’indice, com’è noto, dei principali titoli tecnologici della borsa americana, dove sono quotate le principali compagnie informatiche come Microsoft, IBM, Apple, Google, Yahoo, Facebook.

Con il web 2.0 si opera un ulteriore salto di qualità nel controllo ideologico.

Come si opera questo salto di qualità?

  1. Estrema pervasività di questo mezzo determinata dalla sua interattività. A differenza infatti del web 1.0, che consisteva, per intenderci, essenzialmente nei siti web, il web 2.0 consente attraverso le sue varie applicazioni (FB, Twitter, etc.) una partecipazione apparentemente non passiva e libera alla società dello spettacolo, dove si compie una vera e propria evaporazione virtuale della classe, in un luogo dell’alienazione sovrastrutturale per eccellenza, ove si sostituiscono alla classe le comunità social dalle geometrie variabili e interclassiste totalmente avulse dal contesto reale determinato dai rapporti di produzione.
    La rete, come viene comunemente intesa, è, insomma, il luogo ove vengono stravolti e capovolti i ruoli. Dove l’opinione del singolo spinge le comunità web verso un relativismo assoluto, che cancella il conflitto, la sintesi, la dialettica.
  2. La pervasività di questo mezzo è potenziata dalla sua estrema portabilità che permette l’accesso facile, continuo e quotidiano a queste comunità (con gli smartphone e gli iPod). Il lavoratore-merce può usare i dieci minuti di pausa per avere la percezione di connettersi con il mondo globale dello spettacolo e del consumo.

A fronte della ulteriore mutazione antropologica così prodottasi un po’ di sconforto può emergere.

Tuttavia esistono le vecchie e care e ineludibili contraddizioni.

Insomma i fatti hanno la testa dura.

Di fronte a questa situazione complessa cito ancora una volta Domenico Losurdo quando, a proposito di infowar (informazione/propaganda di guerra) sostiene che “non è adeguato assolutizzarne gli effetti. Se per esempio confrontiamo la reazione che a sinistra si è verificata per i fatti di Ucraina con quella avutasi in occasione della guerra contro la Libia o di quella contro la Jugoslavia, si può osservare come il terrorismo dell’indignazione incontri qualche difficoltà in più.
A sinistra, infatti, c’è qualcuno che comincia a comprendere il funzionamento e le finalità di questo terrorismo dell’indignazione. E personalmente credo – continua – di poter contribuire all’allargarsi di questa importante presa di coscienza. Ovviamente è inutile farsi illusioni: non esiste un’arma magica che neutralizzi una volta per sempre il monopolio della diffusione delle emozioni e con ciò il terrorismo dell’indignazione. La priorità in tal senso è contrapporre ad esso un solido sistema di argomentazioni alternative in grado di essere ampiamente condiviso. E per conseguire tale finalità il partito di tipo leninista rappresenta uno strumento essenziale”.

Quindi un partito che, per quanto riguarda l’aspetto trattato in questa relazione, sia in grado di analizzarne le dinamiche odierne e di costruire la propria propaganda volta a contrastare l’ideologia dominante attraverso un uso sapiente e cosciente dei nuovi media organizzandosi bene e non in maniera scomposta.

Un partito che affronti la questione della formazione a partire dalla riappropriazione fertile degli strumenti di analisi marxisti e leninisti, a partire dai nostri fondamentali dunque, ma che sia in grado di sprigionare nelle dinamiche odierne tutte le potenzialità del metodo e degli strumenti di analisi propri del socialismo scientifico.

Immagine del post liberamente presa qui

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