Repetita iuvant: l’importante non è partecipare

Di un atleta che di fronte all’ennesima pessima prestazione non si ponesse il problema di come si è preparato diremmo che è sciocco o partecipa perché gli piace semplicemente partecipare. E del resto quando De Coubertin pronunciò il famoso adagio, “l’importante non è vincere, ma partecipare”, non si immaginava che questa affermazione varcasse i cancelli delle arene olimpiche. A dispetto dei molti commenti, anche arguti, che leggiamo sul risultato elettorale ed al netto di autosostegni, legittimi, per evitare l’ulteriore evaporazione della sinistra, dobbiamo dirci, chiaramente, che non ci siamo preparati bene, per usare un eufemismo. Per essere più precisi non abbiamo capito nulla di cosa sia il proletariato oggi, cosa pensa la classe e cosa occorra fare. Il giudizio netto, diremmo lapalissiano, è che la disfatta è quasi completa. I grafici che rappresentano in valori assoluti la Caporetto attuale confermano che se ci accontentiamo di qualche rimbalzo possiamo magari recuperare qualche migliaia di voti, ma la sostanza non cambia. La pendenza della retta che traccia l’evaporazione della sinistra e dei comunisti ci fa ergere a facili profeti.
Dunque, provando ad intavolare un ragionamento con chi non è infastidito da queste banali osservazioni, proviamo ad iniziare a ragionare sulle cause e non solo sui numeri: non sarà l’accurata analisi statistica dei flussi elettorali che farà emergere la soluzione. Lo dico perché pensare che il trionfo dell’euroscetticismo abbia punito PD o Forza Italia non spiega perché forze che, pur con tutti i limiti che possiamo rilevare, hanno portato un duro attacco all’Europa ed alle politiche atlantiste sono costrette a giocarsela con forze neofasciste che neppure dovrebbero essere presenti sulle schede elettorali.
In troppi, pur con analisi in gran parte condivisibili, hanno dato “nobiltà” a questo voto: il popolo italiano certamente avverte, unitamente al peso della crisi, la portata del peso europeo (cessione di sovranità), ma il giudizio negativo condensatosi nel voto esprime anche la rabbia per l’assenza di prospettiva e l’eterna autoriproduzione dei gruppi dirigenti. Questo è un tema che paghiamo pesantemente anche a sinistra e fra le fila comuniste.
Sulla questione della sovranità nazionale occorrerà presto, anzi prestissimo, porre la lente del leninismo per dare una lettura corretta dei processi che determinano oggi il ruolo dello Stato nell’attuale contesto geo-politico, rifuggendo da suggestioni buone forse per un risiko da tavolo.
Quest’analisi oggi è fuori dalle corde e dalla discussione nei/dei soggetti che pure animano la variegata compagine comunista e parte della sinistra (non metto qua aggettivi buoni solo a scaricare la rabbia o la coscienza) e a ciò occorrerà presto, dunque, porre rimedio. Ma, come accennato sopra, forzare la realtà del voto verso una presunta consapevolezza del corpo elettorale sul tema della sovranità mi sembra quantomeno azzardato. Vedo più alla portata del panorama attuale un rifiuto verso una intera classe politica in quanto tale. Non si tratta di essere nuovisti ma di capire che ci sono questioni, come quella del centralismo democratico, che non possono essere ridotte a conte parziali in assemblee politiche. Il centralismo democratico è, innanzitutto, l’attitudine delle classi dirigenti al lungo lavoro per l’omogeneizzazione del corpo dell’organizzazione all’apparato ideologico e non già l’adesione bieca a linee programmatiche piegate ad hoc. È un lavoro lungo e faticoso che intanto prevede la paziente costruzione collettiva di una piena consapevolezza politica. Esso non è compatibile con le tempistiche elettoralistiche (si vota praticamente ogni anno) e dunque con l’invenzione astratta e con un continuo richiamo alle necessità del contingente. I comunisti, ma dico l’intera sinistra, non possono continuare la navigazione a vista traghettando di conseguenza carichi di compagni, sempre più esigui, a sbattere contro scogli affioranti e ben visibili. Credo che la continua ricerca di visibilità e attività in tempi elettorali debba essere abbandonata. Non mi metto qua a giudicare chi, oggi o nei mesi scorsi, ha percorso queste strade. Dico semplicemente che la realtà ci mostra come altro sia il lavoro da fare.
Non è certo mancato, in questi decenni, a sinistra e fra i comunisti, il cosiddetto lavoro dal basso. Il punto è che è stato pressoché assente ed anzi è stato distrutto sul nascere ogni tentativo di ricucire la profonda dicotomia fra teoria e prassi, annientata dall’avversario di classe e definitivamente affossata da tutti noi e da intere schiere (a dire la verità esigue e inadeguate) di gruppi dirigenti che hanno inventato nuove scuole di pensiero: il contingentismo-leninista (sigh!) per cui esistono di volta in volta invenzioni che se sollevate risvegliano le masse. Questa “scuola” per qualche anno ha attratto anche me, alla ricerca di un’ultima trincea mentre imperversavano le scorribande post ideologiche negriane, ma il suo limite è stato ed è l’autoreferenzialita’ che ha l’arroganza, talvolta, di pensare che il problema sia che la classe non l’ha individuata come avanguardia.
Poi ci sono i marxisti-elettoralisti. Anche se ti svuotano la carta costituzionale, ti fanno una legge elettorale paradossale e decidono che si decide altrove, la riscossa passa da ogni tornata elettorale, sia essa europea, nazionale, comunale o condominiale: non gli sfiora neppure lontanamente l’idea che, eventualmente, potrà ottenere solo un onorevole diritto di tribuna e niente più. Insomma, ridendo e scherzando stiamo sparendo e ci ostiniamo a non voler vedere che forse il peggior male è lo spreco di forze ed energie in carnevali elettorali ove, come del resto nella migliore tradizione viareggina, il potere ti concede di portare in strada per una quarantina di giorni il tuo carro con le tue bandiere. Poi c’è la quaresima e la resurrezione…beh quella c’è ogni anno ma stavolta nessuno dall’alto dei cieli intercederà col regno dei morti per traghettarci nel regno celeste. Sveglia compagni, prendiamo atto che qualcosa non funziona. Chiamiamo le cose con il loro nome: la Lega è un fenomeno piccolo borghese oggi utile anche al capitale del nord che potrebbe necessitare di una certa ripresa di sovranità nazionale per i propri affari; i cinque stelle sono l’effetto della desertificazione post ’89 che intercetta, con una schiera di parlamentari presi dal basso (sigh!), la pancia della classe svuotata dal padrone 2.0; il populismo, in assenza di un lavoro collettivo, paziente e rivoluzionario dei comunisti, è roba di destra. Rimettersi in cammino e cercare collettivamente una strada diversa non è impossibile e comunque è necessario. E questa necessità la possiamo esplicitare solo noi comunisti: il comunismo e il socialismo sono e restano l’ingresso dell’intelligenza nella storia.
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